Le potenzialità percettive della Realtà Virtuale stanno progressivamente influenzando molti ambiti, alcuni ancora in gran parte da esplorare e scoprire, sia in termini di potenzialità applicative sia per quanto concerne l’effettivo contributo che l’utilizzo di certe tecnologie potrebbe generare in termini di successo.
È il caso delle applicazioni forensi, basate sul contraddittorio tra accusa e difesa, tra gli interessi di diverse parti in causa, ognuna propensa a dimostrare e far valere le proprie ragioni in sede di giudizio. Se per certi versi costituisce ancora una nicchia, il 3D è già presente in questo contesto da molti anni.
Per citare un esempio facilmente intuibile anche ai non addetti ai lavori, il 3D è utilizzato dagli investigatori per rilevare la scena del crimine, grazie alle varie tecnologie di scansione 3D (laser e luce strutturata) e dei relativi software che consentono di digitalizzare le nuvole di punti acquisite, ai fini di ottenere una versione digitale, utile alle simulazioni probatorie e a trasportare in tribunale qualcosa di fisicamente residente altrove.
Tuttavia, sarebbe proprio grazie alla Realtà Virtuale che le tecnologie digitali potrebbero raggiungere livelli di efficienza mai visti prima in ambito forense, grazie ad una serie di proprietà che analizzeremo nel dettaglio. Prima di cogliere appieno quale sia il possibile valore aggiunto della VR in ambito forense, tracciamo una sintesi di quelli che sono i principali formati con cui le prove vengono presentate in tribunale.
PRINCIPALI FORMATI DELLA RAPPRESENTAZIONE FORENSE
Senza addentrarci nello specifico nelle infinite sfaccettature che caratterizzano la rappresentazione 2D e 3D, statica o dinamica, interattiva o meno, proviamo a sintetizzare tre macro categorie.
1 – Rappresentazione 2D tradizionale
In questo contesto rientrano gli elaborati bidimensionali, ad esempio le planimetrie, e le immagini fotografiche. Presentano una serie di vantaggi che ne fanno tuttora gli strumenti più utilizzati. Sono facilmente reperibili o producibili, economiche e garantiscono un’immagine sincera, che risponde con una fedeltà molto elevata a quanto ritratto nella realtà. Il limite principale delle fotografie è quello di non essere spazializzate, dunque è ben difficile per i soggetti coinvolti avere una percezione fisica dei luoghi in cui sono accaduti i fatti. Nella fotografia si colgono dettagli anche molto particolareggiati, senza riuscire a contestualizzarli nell’insieme. Ulteriore criticità della fotografia è data dal fatto di giocare un forte condizionamento psicologico ed emotivo, soprattutto nel contesto di situazioni particolarmente efferate, che richiederebbero una maggior astrazione ai fini di valutarne le dinamiche e gli effetti.
2 – 3D rappresentato su display 2D (es. monitor, proiettore piano)
Un caso frequente è costituito dal dato acquisito mediante scansione 3D, digitalizzato per ottenere il modello 3D più o meno integrale della scena in cui sono avvenuti i fatti da analizzare. Rispetto ai semplici elaborati bidimensionali, il 3D consente di operare delle simulazioni sulla base di un dato rilevato. E’ ad esempio possibile visualizzare le direzioni di impatto in un incidente stradale, piuttosto che la traiettoria di un proiettile.
Il 3D consente differenti approcci alla visualizzazione. Si spazia dall’immagine fotorealistica al volumetrico concettuale, che consente di astrarre una scena per valutare al meglio segni e traiettorie. Il fatto di poter agire in maniera selettiva sui contenuti permette infatti di evitare l’aspetto “traumatico” tipico della fotografia, evitando qualsiasi genere di distrazione. Strumenti 2D e 3D risultano dunque perfettamente complementari nella descrizione di una scena.
Nonostante consenta un livello di fruizione ben superiore alla semplice immagine fotografica, il 3D, se visualizzato su un semplice display attraverso rendering ed animazioni, non è esente da limiti. L’informazione visiva del dato, pur essendo nativa in 3D, viene visualizzata in proiezione su uno schermo piano, e di fatto bidimensionalizzata. Avviene una perdita di informazioni legate alla percezione delle distanze e delle profondità. Chi osserva non ha la possibilità di immergersi ed interagire con la scena del crimine. Rimane per certi versi uno spettatore passivo.
3 – 3D interattivo e/o immersivo (in tempo reale)
Se il 3D “bidimensionale” consente più operazioni rispetto alla visione delle semplici immagini fotografiche, le cose iniziano a farsi decisamente interessanti al cospetto di un contenuto 3D interattivo. Utilizzando le tecnologie dei game engine, storicamente utilizzati per lo sviluppo dei videogiochi, è infatti possibile creare delle esperienze che consentono al “giocatore” di muoversi all’interno di uno spazio virtuale ed interagire con gli elementi in esso collocati. L’utente, da semplice osservatore passivo, diventa colui che effettua le scelte.
Un ulteriore livello di coinvolgimento è reso possibile dalle tecnologie immersive, su tutte la Realtà Virtuale. In questo caso, l’interfaccia di fruizione dei contenuti 3D varia in maniera sostanziale. Dal monitor tradizionale si passa ad un visore dotato di due display, che proiettano un’immagine specifica per ogni occhio: il risultato è una visione definita stereoscopica, che consente a chi vive l’esperienza in VR di avere di percepire realmente tutte e tre le dimensioni, con una corretta relazione delle distanze, sia per quanto concerne i contenuti visivi che i contenuti sonori ricostruiti digitalmente. La VR ha infatti una proprietà fondamentale, ossia quella di rappresentare gli spazi in “room scale”, ossia secondo quella che sarebbe, per l’osservatore virtuale, la loro grandezza naturale.
Uno dei primi esempi di utilizzo della VR in questo ambito è stato Forensic Holodeck, sviluppato dall’Istituto di Medicina Forense dell’Università di Zurigo. Per proporre l’introduzione su ampia scala della VR nei tribunali, il gruppo di lavoro diretto dal prof. Lars C. Ebert, ha proposto una soluzione basata su un kit VR Oculus Rift: relativamente economico, facilmente trasportabile in aula e semplice da utilizzare per i soggetti coinvolti nella ricostruzione delle testimonianze di un processo.
Una ricostruzione come quella sviluppata dal team di Ebert consente ai giudici e alle giurie di provare in punto di vista di qualsiasi soggetto coinvolto all’interno della scena, ai fini di verificare la coerenza delle dichiarazioni delle parti in causa.
OPPORTUNITA’ E LIMITI DELLA REALTA’ VIRTUALE OGGI
Fino a quando non la si prova personalmente, è difficile rendersi davvero conto di quale sia la rivoluzione che la VR sta introducendo a livello di percezione dello spazio. Questo comporta notevoli responsabilità da parte dei VR Developer, chiamati a creare contenuti ed interfacce il cui impiego condiziona decisioni di fondamentale importanza. E’ dunque necessario, come si suol dire, avere un buon 3D di base. Se una scena è stata ricostruita in modo fedele ed accurato, con il rigore scientifico che la scansione 3D e la modellazione 3D oggi consentono, l’esperienza in VR che verrà sviluppata su di essa avrà elevate probabilità di risultare attendibile.
Sulla base delle considerazioni appena citate, una soluzione per favorire l’introduzione della VR nei procedimenti civili e penali potrebbe essere caratterizzata da un approccio graduale, con una compresenza di immagini fotografiche, rendering 3D ed esperienze in VR. L’utilizzo consapevole e simultaneo degli strumenti 2D, 3D e VR offre i riscontri necessari per verificare la coerenza dei rispettivi contenuti, mitigando oltretutto il dirompente “effetto wow” che la VR genera. E’ infatti scientificamente provato che chi prova per la prima volta un’esperienza in realtà virtuale, rimane colpito più dal livello di coinvolgimento ed immersione generato dallo strumento stesso che non dai contenuti in cui si ritrova immerso. Si tratta in ogni caso di un aspetto facilmente superabile grazie ad un adeguato training.
Nonostante queste limitazioni, dovute alla relativa gioventù tecnologica della VR, la rapida evoluzione che sta interessando le tecnologie della realtà consente di guardare con grande fiducia alle potenzialità dei contenuti 3D interattivi ed immersivi, con una sensazione che più che un “se” si tratti di un “quando”. Un quando condizionato in parte dalla crescita dei dispositivi VR, in parte dalla necessaria diffusione di quella cultura digitale che, come è accaduto in altri ambiti, potrà portare anche nel settore forense uno strumento di nicchia ad essere universalmente accettato e, di conseguenza, diffuso a tutti i livelli di procedimento.
APPROFONDIMENTO – DIGITALE E FORENSE NELL’ATTIVITA’ PROFESSIONALE CORRENTE
Cosa accade realmente nelle aule dei tribunali italiane? Qual è il livello di digitalizzazione in corso nei procedimenti? Per focalizzare meglio anche questi dettagli abbiamo incontrato l’avvocato Francesco Andrianopoli, civilista attivo presso il foro di Genova.
1 – Qual è lo scenario nella prassi professionale quotidiana?
Al momento il quadro è, prima di tutto, molto frammentario: ci sono Tribunali in cui la digitalizzazione è a uno stadio avanzatissimo, in cui ogni Giudice e ogni aula hanno un computer e uno o più schermi, e ogni udienza viene inserita direttamente nel processo telematico, mentre altri Tribunali, magari a pochi chilometri di distanza, sembrano vivere in una realtà 10-15 anni indietro nel tempo. Inoltre anche tra un ufficio giudiziario e l’altro c’è una discrepanza enorme: in tutti i Tribunali civili italiani vige ormai da anni il processo telematico obbligatorio, in cui tutti gli atti di parte e i provvedimenti dei Giudici vengono trasmessi e scambiati online, mentre tutti i giudizi davanti ai Giudici di Pace (che dovrebbero essere l’articolazione della Giustizia più “agile” e informale) vengono ancora gestiti in forma rigorosamente e integralmente cartacea.
2 – Questo limite sarebbe dovuto principalmente ad una scarsa cultura in merito alle tecnologie di rappresentazione digitali, oppure ci sono altre concause? Quali sono le principali barriere oggi? E come si potrebbe provare a superarle?
La scarsa cultura è certamente l’ostacolo principale: come detto, il P.C.T., Processo Civile Telematico, è una realtà ormai da anni (dal primo gennaio 2015 precisamente), ed è stato un successo
straordinario, riducendo i tempi e facilitando la vita a tutti gli operatori del diritto; eppure, ancora oggi, nelle aule di giustizia si sentono numerosi avvocati, giudici e cancellieri che non fanno altro
che lamentarsene, per pura e semplice pigrizia di non voler dedicare qualche ora, o qualche settimana, a cambiare abitudini radicate. Un’altra concausa è certamente rappresentata dal fattore economico: il Ministero della Giustizia è cronicamente in rosso (come molte altre articolazioni della macchina pubblica), basti pensare che in certi uffici giudiziari gli avvocati devono portarsi dietro la carta per fare le fotocopie, in altri non ci sono i soldi per mantenere gli ascensori, e tutti gli utenti devono fare 5-6 piani a piedi per arrivare alle aule; in queste condizioni è difficile pensare che si possa dare veramente impulso alla digitalizzazione. Ed è una situazione paradossale, perché il digitale risolverebbe facilmente molti di questi problemi, semplificando le procedure e riducendo i costi generali.
3 – Sarebbe possibile introdurre a breve termine nei tribunali uno strumento come la VR o si tratta di qualcosa di cui sentiremo parlare principalmente sui media, magari relativamente ad esperienze all’estero?
Sicuramente è impossibile introdurlo nel breve a livello nazionale, visto che ci sono molti uffici giudiziari, come detto, che sono molto indietro anche dal punto di vista della digitalizzazione di base, figuriamoci quanto sono lontani dall’ipotizzare strumenti tecnologici più avanzati. Però la Giustizia italiana funziona a velocità molto diverse, ci sono molte realtà virtuose in cui la digitalizzazione è avanzatissima: in quelle realtà, proposte come la VR potrebbero attecchire molto velocemente, e fungere da traino per tutto il movimento.
4 – A livello normativo, sarebbe già possibile introdurre prove basate sulla VR in un tribunale? Oppure bisognerebbe intervenire prima a livello legislativo per consentirne l’impiego?
La prima reazione di molti operatori sarà quella di considerare la VR un qualcosa di “alieno”, e quindi da affrontare con normative e regole ad hoc (che quindi richiederebbero tempi biblici per la loro approvazione): personalmente invece ritengo che il sistema abbia già gli strumenti teorici per assimilare tecnologie del genere. Volendo banalizzarla e ridurla all’osso, la VR è in fondo una
ricostruzione, la creazione di un modello virtuale di un ambiente reale: il sistema processuale italiano, a pensarci bene, possiede già al suo interno strumenti e istituti che permettono di introdurre nel processo ricostruzioni, modelli, ispezioni, esperimenti. Il problema è che quei modelli e quelle ricostruzioni al momento sono realizzati in modalità “low tech” (disegni, planimetrie, fotografie),
che sono spesso insoddisfacenti e quindi utilizzati raramente: ma gli stessi strumenti processuali che permettono di inserire nel processo una piantina disegnata in 2D su un foglio di carta possono essere benissimo utilizzati, senza bisogno di particolari adeguamenti o accorgimenti legislativi, per assimilare e fare propria una ricostruzione in 3D e/o in un ambiente virtuale, così come gli
strumenti che consentirebbero a un Giudice di disporre l’ispezione di un luogo potrebbero altrettanto facilmente permettergli di ispezionare quel luogo in un ambiente ricostruito virtualmente, per poterci ritornare a piacimento senza dover perdere una giornata intera.
5 – Come potrebbe essere gestita una prova in VR nel contesto di un contraddittorio? Ritiene che i giudici possano accettare produzioni basate sulle tecnologie immersive, che cambierebbero dunque radicalmente l’approccio rispetto ai metodi tradizionali? È plausibile che sia proprio un giudice a commissionare ad un consulente la produzione di una scena del crimine in VR?
La prova in VR consentirebbe di abbattere le distanze e potrebbe comportare immensi risparmi di tempi e costi per le testimonianze in c.d. “prova delegata”, quando un testimone si trova in una città diversa e distante da quella in cui si celebra il processo: al momento si deve “delegare” la sua assunzione ad un Giudice della città del testimone, portando fisicamente il teste in Tribunale davanti al Giudice Delegato e agli avvocati delle parti o ai loro delegati, con una complessa procedura che richiede come minimo 4/5 mesi di tempo per essere portata a termine, ed è spesso insoddisfacente perché per il Giudice è essenziale vedere il testimone davanti a sé, studiarne le reazioni e il linguaggio del corpo, e non limitarsi e leggerne le dichiarazioni rese davanti a qualcun altro. Le tecnologie di realtà virtuale e di realtà aumentata consentirebbero di acquisire in tempo reale le testimonianze: oltre a ridurre in modo drastico i tempi e i costi. L’uso simultaneo della VR e di semplici tecnologie di ripresa, potrebbero al tempo stesso fornire al Giudice uno strumento di valutazione molto più efficace rispetto a qualsiasi testimonianza indiretta.
Per quanto riguarda le prove ricostruttive, ad esempio le scene di un crimine o di un sinistro, certamente il Giudice potrebbe richiedere una ricostruzione in ambiente virtuale e immersivo, anziché la “solita” perizia giurata cartacea, ma questo presupporrebbe la disponibilità da parte del Tribunale (o dei suoi ausiliari) delle tecnologie necessarie, il che potrebbe non essere percorribile.
La soluzione potrebbe essere, almeno in ambito civile, quella di non provvedere “d’ufficio” da parte del Giudice, bensì “invitare” le parti a fornire una ricostruzione virtuale; a questo punto il costo della prova non sarebbe più a carico delle casse dello Stato ma dei diretti interessati, e quindi sarebbe nel loro interesse fornire la migliore soluzione tecnologicamente possibile, anche a pena di sostenere costi notevoli. Ovviamente per cause di valore modesto non ne varrebbe la pena, ma ci sono fin troppe cause milionarie decise sulla base di perizie tecnicamente modeste, e tutti i soggetti coinvolti in quel tipo di contenzioso sarebbero ben contenti di spendere qualche migliaio di Euro in più, pur di fornire al Giudice strumenti più idonei per formare il suo convincimento.
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Realtà Virtuale Forense